Cancro, perde l’amore un giovane ammalato su due

Adnkronos 02/03/20

Studio dell’Int di Milano su 66 pazienti 16-24enni fotografa l’impatto su sesso e sentimenti

Ogni anno in Italia si ammalano di tumore circa 800 ragazzi dai 15 ai 19 anni, oltre a 1.000-2.000 giovani adulti a seconda del limite d’età considerato. Una diagnosi che fa paura non solo alla persona che la riceve, ma anche a chi dice d’amarla: nel 53% dei casi la malattia e le cure hanno un impatto negativo sulle relazioni con gli altri, e nella metà dei casi la relazione sentimentale in corso si interrompe con la scoperta del cancro. Il dato è fra quelli emersi da uno studio su sessualità e adolescenza, pubblicato su ‘Pediatric Hematology and Oncology’ e condotto dal team Progetto Giovani dell’Istituto nazionale tumori (Int) di Milano, attivo dal 2011 presso il reparto di Pediatria dell’Irccs di via Venezian e sostenuto dall’Associazione Bianca Garavaglia Onlus.

La ricerca ha riguardato un campione di 66 pazienti fra i 16 i 24 anni, indagando su cinque aree tematiche: vita sentimentale, sessualità, aspetti funzionali, immagine del corpo e desiderio, aspetti legati alla comunicazione con il paziente. La qualità delle relazioni personali e la vita sentimentale sono state analizzate sia in riferimento al periodo precedente la patologia sia durante i trattamenti, per verificare quanto le relazioni con persone emotivamente o sessualmente coinvolte con chi si è ammalato siano cambiate prima e dopo le terapie oncologiche.La maggior parte dei pazienti (67%) riferisce di non avere avuto la possibilità di discutere con qualcuno riguardo agli aspetti legati alle sessualità. E tra quelli che lo hanno fatto, soltanto il 20% ha parlato con medici o infermieri; nessuno è stato informato della possibilità di avere una vita sessuale normale, e nel 39% dei casi l’indicazione ricevuta dai ragazzi è stata di evitarla. Per quanto riguarda i rapporti sessuali nel periodo delle cure, li ha avuti solo il 23% dei pazienti e tra questi il 60% li descrive in modo positivo. Lo studio fotografa tuttavia un calo del desiderio per il 42% dei giovani in cura, maschi e femmine. I ragazzi hanno riportato difficoltà di erezione e dolore durante il rapporto rispettivamente nel 18% e nel 5% dei casi, mentre le ragazze secchezza vaginale (36%) e dolore (21%). Il 56% dei giovani racconta che la malattia e le terapie hanno avuto un impatto negativo sulla loro immagine corporea e si considerano meno attraenti.

L’obiettivo della ricerca – spiega una nota – era capire quali aree della sessualità risultassero particolarmente importanti e/o problematiche per i ragazzi, così da definire interventi di supporto e sostegno mirati su tali tematiche. Gli studiosi hanno quindi messo a punto un questionario ad hoc, allo scopo di indagare i bisogni specifici relativi all’area della sessualità (funzionale, relazionale-affettiva, personale-psicologica e di comunicazione) tra pazienti adolescenti e giovani adulti.

“La malattia e le cure impattano sull’adattamento psicosessuale dei pazienti adolescenti, che rimane un’area fondamentale della vita di un giovane malato poiché, come ci ricorda Cecilia in un video di ‘Tumorial’ (la serie di video-tutorial realizzata dai pazienti adolescenti del Progetto Giovani), ‘anche se siamo adolescenti malati, siamo pur sempre adolescenti'”, osserva Elena Pagani Bagliacca, psicologa della Pediatria Int. “La normalità deve rimanere un punto fermo per gli adolescenti che si ammalano – dice Andrea Ferrari, responsabile del Progetto Giovani Int – Vale anche per la sessualità ed è importante che sia un’area adeguatamente esplorata, affrontata e valorizzata dall’équipe multidisciplinare”.

Non a caso i pazienti esprimono la necessità di affrontare maggiormente le questioni relative alla sessualità con lo staff curante. “Spesso però le difficoltà a trattare tematiche intime e personali sono proprio dell’équipe, legate a tabù culturali difficili da scardinare”, evidenziano dall’Int. “I ragazzi ci chiedono di parlare con loro di amore e sessualità, e noi non solo dobbiamo farlo, ma dobbiamo saperlo fare nel modo corretto – precisa Laura Veneroni, psicologa della Pediatria Int – Integrare nello staff figure dedicate può essere un primo passo per rispondere alle esigenze dei ragazzi e accogliere i loro bisogni”.

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