Non dimentichiamoci dei bambini malati di tumore e delle loro famiglie.
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L’appello della D.ssa Maura Massimino, Direttore della Struttura Complessa di Pediatria Oncologica della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

La pandemia da Covid-19 ha avuto un effetto di travolgente sorpresa anche sulle nazioni più industrializzate. Dopo i primi momenti di incertezza è diventato evidente che non ci si sarebbe liberati in pochi giorni di una minaccia tanto invisibile quanto insidiosa. Le risposte collettive messe in atto contro la pandemia sono state da un lato tecnologiche, con il potenziamento delle indispensabili strutture di terapia d’urgenza, dall’altro le difese si sono fondate su pratiche come l’isolamento e la quarantena che portano con sé echi arcaici risalenti alle grandi epidemie di epoche antiche.

Mentre lo sguardo delle cronache è concentrato sui reparti di terapia intensiva dove si combatte la dura lotta contro le manifestazioni più gravi del Covid-19, riteniamo utile non perdere di vista altri ambiti molto delicati del nostro sistema assistenziale quali la cura dei tumori dei bambini.
L’epidemia di Coronavirus ha disgregato molte delle routine e delle prassi assistenziali. Attività quali il supporto psicologico diretto, il lavoro educativo e pedagogico e l’assistenza spirituale sono state considerate non-indispensabili e quindi come tali da sospendere.

“Stavo pensando a volete andarvene anche voi. Faccio anche io il bilancio DEI LUNGHI MESI “incoronatI”. Ai miei bambini è rimasto solo il cancro, una mamma o un papà.
E noi. Niente educatori, niente insegnanti, niente volontari. Niente visite. Dei piccoli Gesù crocifissi che guardano qualche povera donna e povero uomo cui tocca pure riciclare le mascherine. E se la vita sarà il loro destino porteranno in giro le nostre cicatrici.”

Si pensa che tutto quanto era considerato scontato, quindi indispensabile, è stato tolto. Pensare a chi ci ha “abbandonati” per dovere istituzionale non ci toglie il pensiero di chi avrebbe potuto farsi sentire per vicinanza personale. Chiedere “come state, come stanno i pazienti, posso fare qualcosa da casa, posso fare qualcosa perché esisto come persona al di là del mio ruolo” era ed è possibile. Ma troppo spesso non è avvenuto. Chiudersi in casa è stato troppo spesso chiudere attenzione ed affetto responsabile.
TEMIAMO FORTEMENTE CHE ANCHE LA GENEROSITA’ E LA SENSIBILITA’ DEI NOSTRI SOSTENITORI SI SIA VOLTA ALTROVE, GIUSTAMENTE SOLLECITATA DALLA MINACCIA DEL MOSTRO SCONOSCIUTO NEI PANNI DI COVID-19, E FATICHI A RICORDARSI DI NOI E SOPRATTUTTO DEI NOSTRI PAZIENTI.

E dopo la crisi cosa accadrà? E’ necessario garantire la continuità di misure di accoglienza e supporto, non soltanto clinico, per evitare ripercussioni a lungo termine in contesti dove le patologie hanno mortalità molto più elevata rispetto al coronavirus.

 

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