Amedeo

Abbiamo scoperto la malattia di Amedeo il 12 settembre 2014, all’età di 4 anni.
Ha seguito le terapie e subito interventi che gli hanno permesso di fare il trapianto di fegato il 21 febbraio 2015. 35 giorni prima, il 17 gennaio, nasceva il nostro terzo figlio, la principessa Leila. In pochi giorni due doni incredibili. Nell’estate seguente Amedeo ha concluso le terapie ed ha ripreso una vita normale tra i suo fratelli, amici e compagni di scuola. In questa nostra esperienza, dove l’Istituto dei Tumori e l’associazione Bianca Garavaglia sono stati il nostro punto di riferimento, abbiamo avuto la fortuna di imparare tanto.

Abbiamo capito per esempio che un medico non cura, un medico accompagna; accompagna un paziente ed i suoi cari per un tratto di strada, breve o lungo che sia, felice o nefasto. Per noi questo vuol dire che il nostro posto nel mondo non sempre è come quello che immaginiamo noi stessi o che altri ci dipingono addosso, lo si scopre solo strada facendo.

Abbiamo capito che ci sono persone con un dono e persone che non ce l’hanno. Ti puoi impegnare ed imparare qualcosa, ma chi ha un dono ha una marcia in più ed emergerà sempre. Per noi questo vuol dire che dove possiamo dobbiamo far emergere questi doni, nei figli, nei colleghi, negli amici. Siamo stati molto fortunati in questa esperienza, perché abbiamo incontrato tante persone con doni speciali. Abbiamo tante persone da ringraziare, ma solo alcune hanno lasciato una traccia profonda.

Abbiamo capito che ci sono cose che non si possono comprendere, ma solo accettare. Crediamo che questo sia un passo fondamentale che tutti prima o poi comprendono quando vivono esperienze simile alla nostra, ma noi abbiamo avuto la fortuna di compierlo piuttosto rapidamente, rendendo tutto assai più facile. In parte per motivi di Fede, ma questa è più una conseguenza che una causa. In realtà è per un’ampia miscela di fattori, che vanno dagli amici veri, che mai ci hanno abbandonato in tutti questi mesi, sin dal primo giorno ma soprattutto giorno dopo giorno, costanti, silenziosi, presenti con noi e coi nostri figli. Per passare poi alla famiglia, che di fatto hanno fatto questo percorso con noi, senza sostituirci, senza criticarci, senza osservarci dal di fuori, ma semplicemente con noi. E comprendendo questo ci siamo affacciati all’Istituto, un posto che il primo giorno si è presentato a noi con una promessa e che di fatto non ci ha mai tradito: lottare insieme a noi.

Ricordo bene il primo colloquio con la dott.ssa Casanova, in cui pur nello stordimento della situazione siamo usciti con la consapevolezza che avremmo lottato insieme. Col tempo abbiamo anche scoperto che questa lotta non è una lotta fatta dalla famiglia e al più da un medico, ma coinvolge tutti: medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali e inservienti; questo allineamento nell’approccio accompagnato dal sorriso crea fiducia, il resto segue. Il primo giorno si percepisce l’Istituto come un campo da battaglia, in cui l’esercito affronta il nemico sotto ogni aspetto, medico, psicologico e pratico; col passare dei giorni si comprende che è un esercito che sorride.

Abbiamo capito che nel mondo c’è tanta gente che lotta con una dignità sorprendente, persone che stanno anche peggio di noi ma ti insegnano come non mollare. Per noi questo richiama uno degli aspetti più criticati dell’Istituto, le camere doppie; è vero, crea non pochi disagi, ma quante lezioni abbiamo ricevuto da queste convivenze forzate ed interminabili. C’è un libro interessante che abbiamo letto poco fa, si intitola “Lotta e sorridi” ed afferma “Considera quello che hai come un regalo, quello che ti manca come un’opportunità”.

Abbiamo capito quanto vita e morte non possano che giocare insieme. Un giorno Arianna disse “dovrebbero far nascere una sorellina in ogni famiglia con un bimbo malato di tumore”. Leila (così come Ettore, il fratello maggiore) è stato uno dei supporti più grandi che potessimo avere in questo anno: l’energia che ti danno e che ti chiedono i fratelli di un bimbo malato è inesauribile. L’altro dono è ovviamente “il fegato dell’angioletto”, come lo chiamiamo in famiglia, ed anche qui vita e morte danzano insieme e sono un dono che non si può né comandare né programmare, solo accogliere. Una volta abbiamo letto che “il dono è imprevedibile; se gli dovessimo fissare il modo di manifestarsi non sarebbe più dono”. Appunto.

L’Istituto col sostegno dell’Ass. Bianca Garavaglia sono parte di questo dono.

Grazie,
Arianna & Gualtiero

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