Chi mi conosce sa che, ormai da diversi anni, in occasione del mio compleanno mi piace condividere un pezzetto della mia storia, un dettaglio del periodo della mia malattia, per trasmettere l’importanza dello studio e del lavoro svolti dalla ricerca. In particolare, mi piace parlare del Progetto Giovani, progetto che nasce nel 2011 con il desiderio di creare un modello di organizzazione medica e di cultura nuovo e specifico per gli adolescenti e giovani adulti, affetti da neoplasie di tipo pediatrico, con la sfida di occuparsi della malattia dei ragazzi, ma anche della loro vita sociale e personale. Il Progetto Giovani organizza laboratori artistici che offrono ai giovani l’opportunità di vivere momenti di condivisione e confronto anche con i ragazzi che hanno terminato i trattamenti oncologici e che sono già guariti, in modo tale da scambiarsi reciproci benefici: per i pazienti in cura passare del tempo con chi è già guarito offre un esempio positivo a cui mirare, dona la forza necessaria e la giusta spinta per affrontare le cure; per i ragazzi già guariti questi momenti rappresentano un passaggio delicato e intimo, condiviso con qualcuno pronto ad ascoltare il proprio dolore e che può arrivare davvero a comprenderne l’intensità. Questi scambi offrono la possibilità ai ragazzi di esprimere liberamente le proprie emozioni e passioni attraverso l’arte (musica, fotografia e tanto altro). Inoltre, il raccontarsi rappresenta un metodo per elaborare ciò che stanno vivendo, permettendo loro di comprenderlo ed accettarlo.
Un progetto dell’Oncologia Pediatrica dell’Istituto Tumori di Milano, riconosciuto come il miglior Istituto in Italia e tra i top 20 del mondo per le cure oncologiche: per la sua ricerca d’avanguardia, l’eccellenza negli interventi e l’empatia con i propri pazienti. Quest’anno mi vorrei soffermare sull’importanza di quest’ultima caratteristica. La cura e l’attenzione nei confronti del paziente sono qualità rare da trovare all’interno degli ospedali, specialmente all’interno di realtà strutturate come quella di Milano, che si occupano di tante cose importanti, tra le quali è stato scelto di valorizzare questo aspetto del rapporto che si crea tra paziente e medico oncologico.
Tale riconoscimento non è solo importante per l’Istituto, ma anche per la sanità pubblica italiana in quanto si basa su numeri importanti in ambito assistenziale e di ricerca, rappresentando il modello da seguire per migliorarsi e prendere spunto per offrire ai pazienti un luogo appropriato per ricevere le migliori cure attraverso un approccio integrato e multidisciplinare.
Perché penso che l’empatia sia parte integrante del processo di cura del paziente, vi chiederete.
Durante il periodo della mia malattia, mi è mancato tantissimo questo sostegno. Mi è mancato avere accanto qualcuno che avesse le competenze professionali per aiutarmi davvero. Non mi sono mai mancati l’affetto e la presenza della mia famiglia, degli infermieri, dei medici e dei miei compagni di stanza o di alcuni amici al di fuori dell’ospedale. Eppure, questo non è stato sufficiente, è rimasto un vuoto gigante che nessuno è mai riuscito a colmare, l’assenza di un percorso curativo che andasse oltre le cure oncologiche e l’affetto, un percorso che mi aiutasse a comprendere cosa mi stava accadendo e che mi desse l’opportunità di esprimermi liberamente senza sentirmi diversa o giudicata: le richieste fisiche e psicologiche del mio corpo, una persona che mi ascoltasse e comprendesse, qualcuno che mi aiutasse a non perdere l’autostima nonostante la mia diversità. Ho sempre pensato che l’empatia fosse la cura dal momento in cui è entrata nella mia vita Freedom, la mia cavallina. Instaurando un rapporto di totale fiducia ed empatia con il mio cavallo, io sono riuscita a vivere, a volte in maniera inconsapevole, i benefici che entrare in connessione con qualcuno può portare. Il rapporto con Freedom è stato un rapporto molto complesso perché mi ha costretta a fare i conti con me stessa: il cavallo è come uno specchio. Se pensate di poterlo immaginare, mi dispiace deludervi: so che può capirmi solamente chi ha avuto l’enorme privilegio di instaurare un rapporto con un cavallo. Nessuna persona, nessun altro animale. Tuttavia, il mio rapporto con Freedom è diventato a tal punto intimo da dimostrarsi un rapporto viscerale, che ho scoperto con gli anni essere stato in parte nocivo. Non ero in grado di gestire alcune mie emozioni ed esigenze, non sapevo ascoltare il mio corpo e questo Freedom me lo sbatteva in faccia quasi ogni giorno. Purtroppo, essendo molto piccola e non avendo qualcuno accanto in grado di aiutarmi nel mio percorso di consapevolezza, questo non mi ha permesso di godere di quello che mi stava donando il cavallo.
Il Progetto Giovani è un progetto fondamentale per la crescita personale dei ragazzi, è un mezzo che permette loro di affrontare e curare se stessi attraverso lo scambio e la condivisione con altri ragazzi dai percorsi simili (per quanto differenti) e grazie al sostegno di persone competenti e professionali che possono mostrare loro la potenza della condivisione, dell’ascolto e della comprensione, senza sentirsi in difetto, sbagliati o diversi. Per questo motivo credo sia importante sostenere realtà come questa, nel limite delle proprie possibilità. Riconoscere l’importanza dell’empatia e dell’arte come mezzo di libera espressione svolge un ruolo essenziale nel percorso di cura degli adolescenti, che già vivono un periodo di cambiamento e di lotta nell’identificazione di se stessi.